Due scritti inediti, pubblicati oggi per la prima volta in volume, confermano i sentimenti di Carlo Emilio Gadda nei confronti della Lombardia e in particolare di Milano. L’autore di capolavori come La cognizione del dolore e Quel pasticciaccio di Via Merulana, lo scrittore che più ha contribuito a rinnovare la narrativa italiana dell’ultimo ‘900, ebbe un rapporto a dir poco conflittuale con la propria città: lui che voleva essere “il Robespierre della borghesia milanese” si sentì spesso estraniato dalla società del suo tempo, una Milano che vedeva imprigionata dalla “degenerazione della tendenza industriale e dall’unilateralità della cultura”. Era il 1930 e Gadda, nato il 14 novembre 1893 da una famiglia della media borghesia lombarda, scrisse quella che oggi suona come una vera e propria invettiva contro i milanesi: un breve saggio, pensato originariamente per essere pubblicato sul quotidiano “Resto del Carlino”, che non vide mai l’inchiostro della stampa. Appare soltanto oggi proposto da I quaderni dell’Ingegnere, la rivista di studi gaddiani diretta da Dante Isella per Einaudi (pp.242, € 35). L’altro scritto, pubblicato per la prima volta in volume, è invece Villa Brianza (Adelphi, pp.40, € 5,50), un racconto del 1929 che anticipa molti dei temi che lo scrittore riprenderà trent’anni dopo ne La cognizione del dolore.
Due scritti che rivelano una forte componente autobiografica: nato in via Manzoni, al civico 5, Gadda era figlio di un “industriale idealista” che dopo investimenti disastrosi costrinse la famiglia a vivere anni di vero disagio economico. Una situazione che influenzò molto lo scrittore: Gadda era portato agli studi umanistici ma, proprio per questioni di denaro, dovette laurearsi in Ingegneria al Politecnico per darsi subito all’insegnamento di fisica e matematica al Liceo Parini. Ed è proprio in questi anni, per sua stessa ammissione anni “orribilmente tormentati”, che si scagliò contro Milano, “virtuosa città” imbevuta di “meschinità” e vittima del “morboso culto della propria supposta intelligenza”. Una Milano la cui gente, per Gadda, “sorride di pietà e di superiorità quando parla del governo, ma che è assente da tutte le attività del governo: assente dall’amministrazione, dalla magistratura, dalla cultura, dall’insegnamento”.
Per lo scrittore la ricca borghesia milanese degli anni ’20 e ’30 è incapace di andare oltre il concetto di produzione: “Soltanto chi fabbrica scaldabagni o maniglie di ottone stampato è una persona degna di considerazione”. “Il ladro, il ruffiano, la prostituta, il cocainomane, l’omosessuale di professione, il ricattatore, il ricettatore, il contrabbandiere di stupefacenti, la meretrice malata, il finto prete e l’oblato francescano in cerca d’avventure vengono a Milano aiutati, nutriti, confortati, soccorsi, difesi: ma se uno vuol leggere Orazio o Spinosa, poiché la natura gli fa preferire l’Ariosto allo scaldabagno e l’Analitica del Konisberghese alle maniglie di ottone stampato, quest’uomo è sicuro di essere ritenuto un pazzo da tutte le più aforistiche donne lombarde”.
E in mezzo alla “cultura dello scaldabagno”, prigioniero della logica di “fabbriche e fabbrichette, officine e officinette”, davanti alle “nuove generazioni istupidite dalle sciocche iperboli della Gazzetta dello Sport”, l’intellettuale “vive del suo Cicerone come il tarlo nella vecchia mensola”. Un’infelicità, un “male invisibile”, che troveremo in tutte le sue opere e che già si può intuire tra le righe di Villa Brianza : racconto breve, brevissimo ma in cui lo scrittore vede nella villa fatta costruire dal padre a Longone al Segrino, tra Como e Lecco, l’origine dei dissesti finanziari della sua famiglia e i motivi che lo costringeranno a vivere “un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa”. Nel racconto nulla si salva dal suo sarcasmo: non si salva il padre, descritto come un benpensante incapace di affrontare la vita, ma non si salvano nemmeno luoghi e abitanti della Brianza. Perché per Gadda è un mondo primitivo in cui i “quadrupedi brianzoli” si esprimono attraverso “gutturazioni pleistoceniche”.
Gian Paolo Serino, La Repubblica (domenica 21 ottobre)
Caro Gian Paolo,
hai fatto un eccellente ritratto di questo grande scrittore, spesso volutamente obliato anche dall'intellighenzia, perchè chi sa vedere oltre le apparenze è sempre considerato un pericoloso mestatore.
Scritto da: Renzo Montagnoli | 30/10/07 a 19:29