Lo spettacolo offerto dalla trasmissione di circa 35 minuti che RaiUno ha dedicato ieri notte alla cerimonia finale del premio Strega mi ha fatto cadere in una crisi di sconforto. Non è una posa: mi sono davvero depresso e incazzato. Due parole sul premio: la suspense non esisteva, tutti sapevano che questo sarebbe stato l’anno di Ammaniti, una specie di premio Strega alla carriera – strameritato, sotto questo aspetto – che non avrebbe tenuto conto del fatto che, per esempio, il romanzo di Laura Bosio Le stagioni dell’acqua è un vero capolavoro e avrebbe dovuto vincere. Ognuno avrà le sue predilezioni, il problema non è questo. Io mi sono messo in poltrona solo per curiosità. Ma a un certo punto il malessere, un malessere fisico devastante, ha avuto il sopravvento e ho dovuto spegnere; perché RaiUno ha fatto un capolavoro di deficienza, di disprezzo verso la cultura, che mi ha lasciato senza parole! L'incompetente che conduceva il collegamento insieme a Livia Azzariti, secondo una formula collaudata, è un mezzobusto del tg che non sapeva un tubo né di libri né d'altro. Giovanna Zucconi era incaricata di tenere uno striminzito siparietto letterario, e lui è riuscito a passarla la parola chiamandola ripetutamente "Giovanna Zincone", finché non l'hanno corretto. In compenso il mezzobusto era perfettamente a suo agio con il parterre politico. Infatti, dovendo intervistare qualcuno degli ospiti, ha scansato accuratamente autori ed editori. E’ partito con Rutelli, che si è esibito in uno degli esercizi che gli riescono meglio, cioè non dire nulla e dirlo anche abbastanza male. Poi è passato a Mastella, che con un'arroganza bestiale ha fatto un gioco di parole su Mal di pietre, uno dei titoli in concorso, tirando in ballo Di Pietro e prendendosi tutto lo spazio che voleva solo per dire che lui è in lite con Di Pietro. E chi se ne frega! Chi se ne frega! Infine il telegiornalista è planato "per par condicio" (parole sue) su uno di Forza Italia. Quest'ultimo, essendo addetto allo spoglio delle schede in parlamento o qualcosa del genere, non ha trovato di meglio da dire se non che il lavoro che fanno loro con le loro votazioni "è molto più complesso e delicato di questo, visto che noi rappresentiamo 40 milioni di elettori". Come dire: Vabbè, questo qui è un giochino, un passatempo senile, le cose serie le facciamo noi. Ma porca miseria! C'era mezz'ora di trasmissione dedicata a quello che è in ogni caso, pur con tutta la patina mondana, un evento culturale, e questi politici di merda intervistati da un loro lacché non facevano che parlarsi addosso! Non si poteva parlare per trenta minuti di libri, belli o brutti, meritevoli o indegni? Era troppo? L’acme del demenziale si è toccato quando il servo, a un certo punto, è inciampato in Bevilacqua e invece di presentarlo con il nome di Alberto lo ha chiamato Osvaldo (Osvaldo Bevilacqua è un conduttore televisivo), saldando il perfetto corto circuito dell’autoreferenzialità fra politica e televisione, televisione e politica. La povera, si fa per dire, Zucconi, intabarrata in una sorta di abito ottocentesco, avendo capito l’antifona – cioè che avrebbe avuto un totale di due minuti e trenta secondi per presentare, uno dopo l’altro, i cinque finalisti accompagnati ciascuno da uno dei due “padrini” che il premio tradizionalmente assegna a ogni libro – ha avuto la bizzarra idea di fare la seria con i padrini e la spiritosa con gli autori. L’esito è stato un crescendo inquietante che è partito col domandare ad Ammaniti quale arma segreta avrebbe usato in un videogame per sbaragliare gli avversari ed è culminato nel chiedere a Laura Bosio, come unica domanda (assicurandole: "E guarda che è un grande privilegio parlare di queste cose in televisione!") la ricetta di una zuppa di riso! Non sto criticando la Zucconi: era una vittima, come lo erano gli autori, come lo eravamo tutti noi, e ha cercato un modo disinvolto di cavarsela in un contesto catastrofico dove qualsiasi discorso sui libri e sulla scrittura era destinato a venire maciullato. Io però a questo punto stavo male, male di testa, di stomaco, di tutto, e dopo i dieci secondi concessi alla risposta, in cui questa grande e dignitosa scrittrice è riuscita perfino a fingersi divertita, ho spento e me ne sono andato a letto. E la ragazza della lavagna? Come sapete, è una tradizione dello Strega che i voti, man mano che arrivano, vengano aggiornati da una ragazza che scrive con il gesso su una semplice lavagna. Livia Azzariti ha creato fin dall’inizio del collegamento una suspense grottesca su chi fosse costei, su quale grande “sorpresa” aspettasse i telespettatori al riguardo. Alla fine ha svelato l'arcano: era la figlia di Paola Pitagora. Caspita! "E tu hai letto i cinque finalisti? No? Cos’hai sul comodino? Aaah, Pavese, un classico! Ma tu sei un'attrice giovane e di successo, quale sarà il tuo prossimo lavoro?" e via squittendo. Cronometro alla mano, la figlia di Paola Pitagora ha avuto altrettanto spazio quanto quello concesso ai cinque partecipanti al premio messi insieme. Si noti fra l'altro come certi poveri di spirito vadano regolarmente in sollucchero quando si trovano di fronte il penoso fenomeno dei figli d'arte, chiamiamoli così. Una persona normale pensa: "Vabbè, quello l'han messo lì perché ha quel nome, pensa che schifo, toglie il posto a uno che meriterebbe di più"; loro no, i giornalisti televisivi ci vanno pazzi per queste cose, perché sono la perfetta rappresentazione del loro mondo fatto di genealogie, di poltroncine riscaldate, di cene e strippate fra amici. Che pena, ragazzi, che squallore!
Raul Montanari
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