Cinema Apollo
Davide Sapienza, scrittore e viaggiatore, affiancato da Gian Paolo Serino, ci accompagna sulle tracce di Jack London e il Grande Nord presentando al pubblico milanese "Il marinaio nella neve" di Dick North (CDA&Vivalda).
Ecco la prefazione firmata da Davide Sapienza.
LE AFFUSOLATE MANI DEL GRANDE NORD
di Davide Sapienza
Leggendo questo libro di Dick North mi è capitato spesso di soffermarmi su una frase e di pensare «questa è un’annotazione meravigliosa». Perché Il marinaio della neve è un libro a suo modo di meraviglia, scoperta, mistero e desiderio. Dick North, ancora ventenne alla fine della seconda guerra mondiale si ritrovò arruolato nei Marines e sbattuto al confine Italia-Slovenia. Tornò dopo quasi un anno in patria e la sua esistenza prese il lungo corso che ogni vita avventurosa, o addirittura straordinaria, prende quando la si lascia fare di testa sua. Da questa vita nasce questo libro. Il marinaio nella neve è il primo testo pubblicato in Italia sul periodo che Jack London trascorse nel Grande Nord. Poiché l’amico Jack amava scherzare con il destino e con gli umani, egli non raccontò mai di se stesso in quelle terre così uniche e lontane: né in Martin Eden, lo straordinario libro semiautobiografico che tutti amiamo, né in John Barleycorn, la sua autobiografia alcolica, London ci ha raccontato bene cosa accadde in quel breve anno tra il 1897 e il 1898, quando partì ventunenne per le terre dove troppo oro stava attraendo migliaia di disperati e sognatori nelle misteriose terre nordamericane. Prima la meta della corsa all’oro fu l’Alaska – da poco divenuta parte degli Stati Uniti; poi venne il tempo del Klondike, la regione nello Yukon del nord. In Canada, lo scrittore americano scoprì il suo oro: ma il giovane Jack non sapeva che il suo metallo prezioso sarebbe stato convertito direttamente dalla wilderness in valuta sonante, sotto forma di storie indimenticabili. Aveva le bisacce vuote, quando arrivò a San Francisco nel 1898, ma quel nuovo immaginario in fermento perpetuo. Jack London disse tutto in decine di grandi racconti e nei romanzi come gli inarrivabili Il richiamo della foresta e Zanna Bianca. Fu con lui che il Grande Nord divenne una nuova categoria letteraria, inoculata nell’inconscio collettivo universale da una penna la cui potenza riusciva a competere con quella della terra di lassù – una terra, detto per inciso, che una volta visitata ti contagia per sempre modificando la visione, l’immaginario, il senso stesso della tua presenza di uomo nel mondo e negli spazi della wilderness. Non fu il primo, London. E neanche l’ultimo: ma fu il più potente, il più popolare, quello che riuscì a far capire anche a gente che non ha la minima idea di cosa voglia dire stare nella notte artica, a cinquanta gradi sotto zero, quanto è forte e primitivo il nostro legame con la vita che si replica in ognuno di noi, eternamente. Ce lo avrebbe ben spiegato alla fine della sua esistenza con un romanzo che ancora oggi divide critici e appassionati, Il vagabondo delle stelle, nel quale le terre del Nord diventano sempre più vaste, sempre più eterne. E così sia, Jack. Dick North ha seguito una magnifica ossessione. Negli anni sessanta del secolo scorso ha pensato che lassù, da qualche parte, doveva esserci ancora una casetta di legno fatta di tronchi d’abete nella quale il suo scrittore preferito aveva passato lunghe ore davanti alla stufa modello Yukon, avvolto dal silenzio bianco e da racconti incredibili che traevano ispirazione da fatti veri più incredibili ancora. Nello Yukon, non appena ti guardi in giro, capisci che per descrivere ciò che vedi puoi solo esagerare: e ancora non ce la fai. Perché ogni volta la realtà ti frega. Perché, anzi, tutto è nella twilight zone, ai confini della realtà. Allora Dick è partito. E ha scoperto. Ha scoperto quello che leggerete in questo libro. E in queste pagine indaga, racconta, riflette, pennella sensazioni che solo lo Yukon può dare. È questa grande energia visionaria, legata a considerazioni quasi triviali, a darci una misura di come quel mondo finì per travasarsi all’interno dei racconti di London: travaso che lo ha reso immortale. Nell’ottobre 2006, sono finalmente arrivato al passo dove il Klondike River scorre verso sud, per andare a versare le proprie acque in quelle del grande fiume Yukon. Ho anche guardato verso nord, dove la Dempster Highway si estende inafferrabile sino al mare di Beaufort. Quando Dick North si fermò qui la prima volta era il 1965 e io non andavo ancora all’asilo: lui vide i caribù e un accampamento indiano, perché allora era lì che la strada finiva. Eppure, ancora adesso, guardando il paesaggio innevato dilatarsi oltre l’aria limpida dell’Artico verso nord, dove il fireweed, la sterpaglia del fuoco che sbuca dalla neve pare incendiare l’orizzonte, sentivo il silenzio colossale declamare le parole di North. Dovevamo incontrarci a Dawson City dove abita, per parlare di questo libro da presentare al pubblico italiano: ma mentre io ero sulla pista del nord, lui era andato a svernare a sud. E Jack London? L’ho cercato al Miles Canyon e a Carcross, al lago Bennet e al lago Tagish, alle rapide di Five Fingers e alla confluenza dei fiumi dove una volta ci fu Klondike City e ora c’è solo un bosco. Sono salito al Bonanza Creek, a Henderson Dome, ho salutato un grizzly accanto alla strada più alta del mondo. E guardando giù, sulla pista ancora blu cobalto del grande fiume Yukon ho capito che Jack era andato a svernare nelle terre del Sempre.
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