Ho deciso di (ri)pubblicare un'intervista che ho fatto a Giuseppe Genna in occasione dell'uscita del suo "Nel Nome di Ishmael" (libro che consiglio: soddisfatti o rimborsati) perchè rileggendola l'ho trovata molto attuale. L'intervista era apparsa sull'allora settimanale "Il Mucchio Selvaggio" (GPS)
Giuseppe Genna, è tra gli scrittori più interessanti del panorama narrativo italiano: insieme a pochi altri è tra gli autori che vale la pena incontrare anche fuori dalle pagine. Genna, però, rispetto agli altri scrittori italiani, è un irregolare: più invidiato che letto, più odiato che considerato, è forse l’unico scrittore italiano a muoversi abilmente tra le paludi del marketing editoriale senza per questo rimanerne prigioniero. Fedele ad un percorso di scrittura del tutto personale, più avant che pop, Genna nelle sue prove narrative dimostra di saper affrontare la pagina con uno stile che lontano da ogni effimera ricercatezza è paradossalmente immediato: paradossalmente perché la sua scrittura riesce ad essere istantanea senza essere mediata. Genna è anche l’autore che non esita a sprofondare la penna nelle tante marcescenze che affondano da anni la nostra italietta: un tempo prigioniera di se stessa, oggi vittima del proprio riflesso. Autore del noir metropolitano “Catrame” (Oscar Mondadori) e dello splendido romanzo pamphlet “Assalto ad un tempo devastato e vile” (Pequod) abbiamo incontrato Genna per parlare “Nel nome di Ishmael”, un thriller nero che presenta aspetti inquietanti e mai troppo indagati. "Nel nome di Ishmael" merita davvero di essere letto come esempio di una letteratura che vuole affrancarsi dalle parole per incontrare il lettore sul campo di battaglia delle idee. Ed è questo a fare di Genna uno scrittore unico: alle potenzialità narrative affianca delle idee, qualità che soprattutto di questi tempi è a dir poco rara. Non è, come molti suoi coetanei, un Narciso del Nulla, non è un pennivendolo che si spezza con un Fassino: è piuttosto un De Lillo senza arte, un Pynchon senza genio, un Pasolini senza corsari. Con Genna abbiamo parlato di una letteratura che va oltre il proprio muro, di una letteratura che vuole essere “civile”: rivendicazione di una cultura italiana sempre più sepolta tra le ceneri del sogno americano, sempre più orfana di un’identità che pare aver perduto in quel regno della non fantasia che è il reame della realtà.
Ho letto “Nel nome di Ishmael” come un sincero e argomentato attacco contro la colonizzazione americana…
Più che alla colonizzazione americana, che pur esiste in tutta la sua distruttiva evidenza, voleva essere un attacco ad un regime tecnocratico che tende ad inglobare non solo i territori, ma anche le coscienze.
Beh, Aldous Huxley immaginava una dittatura democratica dove la gente avrebbe amato “la tecnologia che libera dalla fatica di pensare”…
Sì, ed è terribile perché la tecnocrazia, di cui l’America non è che la facciata esterna, elimina ogni diversità, ogni identità culturale rimane stritolata dai suoi ingranaggi. Basti pensare al fatto che soprattutto di questi tempi è sempre più difficile parlare di cultura italiana, nel recupero di ciò che è autentico, di ciò che è popolare.
Addirittura ne parlava già Guy Debord nei suoi “Commentari alla società dello spettacolo”…
E non a caso proprio in Italia Debord vedeva l’apice dello spettacolo integrato. In Italia la colonizzazione americana, lo spettacolo che disneyzza le menti, ha fatto i danni maggiori: non solo non esiste più una comunità intellettuale, ma non esiste più nemmeno una cultura popolare. Una situazione devastante già denunciata da Pasolini.
“Il progresso ci americanizzerà il cuore” sintetizzava Baudelaire…
E Victor Hugo? Basta pensare a “Novantatrè” quando descrive il processo di trasformazione della rivoluzione in terrore, quando scrive dello psicosi di massa che distrugge la coscienza popolare.
Non a caso tu scrivi: “L’America è un esperimento. L’esperimento dell’America è sostituire l’uomo. Con che cosa? Con l’americano. L’americano non è un uomo: è un americano. Egli è fedele, e in questo è qualcosa in più di un uomo. Egli è fedele perché è all’oscuro di tutto…”
Sì, ma l’americano è anche qualcosa in meno dell’uomo, perché è troppo fedele. Quell’esperimento continentale che è l’America condurrà alla sostituzione dell’uomo con l’americano. Questo è il vero genocidio, un genocidio mentale: silenzioso, ma letale.
E' l’idiozia di massa, un sistema che tende a ridurre la testa a stomaco: è il sistema della fiction
Quella che io chiamo la strategia della finzione: fa molte più vittime della tensione e sono vittime invisibili, le incontri al supermercato zombizzate dai consigli per gli acquisti…
L’unica via per uscirne secondo me è la letteratura. La fiction, d’altro canto, da dove attinge le proprie regole se non dalla letteratura? Secondo me è questo il vero compito di uno scrittore: non guardarsi il polso, ma chiedersi “Qual è il passaggio dove la letteratura è superiore alla finzione?”.
Si torna alla tua vocazione: non letteraria, ma di argine alla colonizzazione. Una colonizzazione che, “Nel nome di Ishmael”, è anche e soprattutto simbolica…
Assolutamente sì: la vera globalizzazione è quella degli spazi simbolici.
Tempo fa, in un’intervista, Naomi Klein di “No logo” mi diceva la stessa cosa…
E’ assolutamente necessario capire questo: il sistema agisce da sempre partendo proprio dai simboli. Basta pensare a chi conia il denaro…
Mi viene in mente “Essi vivono” di Carpenter…
Sì, quella scena, incredibile nella sua semplicità, dove tutto si riduce a simbolo. Le insegne commerciali ridotte alla loro essenza, ciò che comunicano al livello più elementare: è tutto un “Compra”, “Acquista”, “Consuma”. Se ci pensi le insegne dei negozi che cosa vogliono comunicare se non questo? Lo stesso vale per i soldi: in “Essi vivono” l’immagine del dollaro diventa “Sono il tuo Dio”. Semplice, geniale e soprattutto inquietante. Inquietante perché noi tutti ci dimentichiamo del simbolo in nome della rappresentazione.
Tra l’altro il tuo romanzo è stato piuttosto travagliato: doveva uscire in Settembre, invece è arrivato in libreria a Marzo…
Sì, è Mondadori che dopo i fatti dell’11 Settembre ha preferito far slittare l’uscita. Troppe coincidenze.
In effetti, hai centrato la geografia dei risvolti investigativi…
Il romanzo si svolge in Italia, ma Amburgo, Parigi e Bruxelles svolgono un ruolo chiave nelle indagini. Lo stesso itinerario, le stesse città dove si sono concentrati gli sforzi investigativi di tutte le intelligence straniere.
Servizi segreti che nel tuo romanzo, come nella realtà, hanno un ruolo fondamentale nella società…
L’intelligence è la categoria fondamentale per comprendere economia, politica, sociologia, cultura e anche letteratura: i servizi segreti hanno una propria grammatica, un proprio linguaggio, ma soprattutto una propria geografia dalle coordinate ben precise. Una geografia che si snoda esattamente nelle città che ho citato nel libro.
Libro che ripercorre crimini e misfatti degli ultimi cinquant’anni di storia italiana: tra l’altro affronti il caso Mattei…
Beh, Mattei ha svolto un ruolo chiave nella nostra storia più recente. Proprio per questo è stato fermato.
Fermato… Nel libro è evidente: accusi Kissinger di essere il mandante dell’omicidio Mattei
Di omicidio sicuramente si tratta: l’ipotesi dell’incidente aereo è assurdo e contro ogni logica
Un “incidente” che ha strane analogie con un disastro aereo più recente…
Già, non tutti sanno che il padre di Bin Laden, petroliere in affari con la famiglia Bush, è morto in un disastro aereo causato da problemi tecnici molto simili a quelli del caso Mattei. E, guarda caso, l’aereo è caduto dopo essere partito dal ranch dei Bush…
Tornando a Mattei e Kissenger: si capisce che per te sono due figure chiave nella storia del ‘900
Lo sono perché incarnano alla perfezione il processo della colonizzazione dell'Italia da parte degli americani. La prospettiva eccentrica - rispetto alla logica dei due blocchi - costò a Mattei la vita e all'Italia la fine della propria identità nazionale. Quella sconfitta ha un contraltare in una vittoria, di cui Henry Kissinger è simbolo vivente.
Malgrado sia colpevole mandante di eccidi in Cambogia e Vietnam, malgrado abbia appoggiato la criminale e sanguinosa dittatura militare in Argentina gli hanno dato anche il Nobel per la Pace….
Questa è la finzione che può permettersi oggi la realtà. O viceversa…
Tornando ai Servizi Segreti: tu ne hai una conoscenza diretta avendo lavorato a Montecitorio ai tempi della Pivetti presidente del consiglio….
Il mio lavoro ufficialmente era di organizzare eventi culturali, ma nel frattempo ho conosciuto bene molti agenti dei Servizie ho studiato a fondo gli atti delle commissioni Stragi, P2, Moro.
Narrativamente è un ambiente narrativo formidabile, soprattutto per chi, come me, è interessato proprio all'ideologia del segreto.
Ideologia che è alla base del "Ishmael"...
Dietro il segreto, si nasconde una volontà di colonizzazione spirituale. Chiesa, Massonerie varie, sètte o governi: non c'è differenza tra questi corpi che collidono e combattono essenzialmente per la stessa cosa: imporre la propria visione spirituale sulla terra. Il segreto è palese. Le modalità con cui i segreti vengono nascosti è quella di metterli sotto gli occhi di tutti. E' un'operazione simbolica continua. Quanti italiani hanno presente cosa significhi davvero che un partito politico abbia per stemma una quercia con una rosa davanti? Quanti, della lista Pannella, avevano percepito che si trattava del simbolo del Tao? Perché c'è un biscione che domina su tutti i teleschermi? Perché una svastica ha sventolato sull'Europa al culmine del Novecento? Sono segnali, manifesti e occulti al tempo stesso, posizionati appositamente per occupare un piano che sembra inefficace e inutile, distante dalle nostre vite: invece non lo è. E' il segreto templare: colonizzare gli spazi simbolici. Piazzare la croce nelle scuole o, al contrario, toglierla ha un ben preciso significato e un'efficacia immediata.
C'è, però, anche una ragione letteraria che ti spinge a fare vorticare i Servizi segreti intorno agli eventi che descrivi
Io credo fermamente che il futuro della narrativa risieda nella convergenza tra genere thriller, noir, fantascienza, horror e controcultura (nel senso che le si dava durante gli anni Settanta). Credo che il futuro sarà di chi riuscirà ad allestire allegorie significanti a più livelli, manipolando in un macrogenere questi generi per ora distanti.
(Gian Paolo Serino)
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