Su IL GIORNALE presento in ANTEPRIMA "Dove vai Mathias?", racconto inedito di Agota Kristof (autrice di capolavori come "Ieri" e "Trilogia della città di K") e un'INTERVISTA ESCLUSIVA in cui la scrittrice rivela per la prima volta che non ha più intenzione di scrivere. Di seguito l'intervista.
AGOTA KRISTOF: "SONO MOLTO MALATA, NON SCRIVERO' PIU' ".
Agota Kristof ha deciso che non scriverà più: a rivelarcelo è lei stessa in questa intervista esclusiva. L’autrice di capolavori come Ieri e come Trilogia della città di K., tradotti ad oggi in più di 30 paesi, ci ha confermato quelle che ad oggi erano considerate solo voci. Al telefono, dalla sua casa di Neuchatel, la Kristof, ungherese di nascita e svizzera di adozione, ci rivela che ad allontanarla dalla scrittura non è la stanchezza verso un mondo che non l’ha mai entusiasmata troppo e neppure quel disincanto che ha sempre provato nei confronti della vita. Una vita che per la Kristof non stata certo facile: come ha raccontato nei suoi libri, dove l’elemento autobiografico si è sempre unito alla finzione narrativa, la Kristof ha attraversato personalmente tutti gli eventi più drammatici del ‘900. Ha conosciuto gli orrori della guerra e quelli della dittatura comunista durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza in Ungheria. Poi, giovanissima, ha vissuto in prima persona l’alienazione di essere un esule. Lasciata l’Ungheria si è rifugiata in Svizzera combattendo tutte le ostilità che un tale distacco inevitabilmente comporta: le barriere di una lingua e di un paese sconosciuto, le difficoltà di ambientarsi in un Occidente che alle macerie morali dell’Est contrapponeva quelle delle del profitto e della produttività. Per Agota Kristof la scrittura è sempre stata il proprio rifugio e al contempo la propria condanna: “La scrittura”, ha dichiarato dieci anni fa in una delle rare interviste che ha deciso di concedere durante la sua carriera, “è quasi un suicidio. Scrivere è la cosa più difficile del mondo. Eppure è l’unica cosa che mi interessi. Anche se mi esaurisce”.
Adesso ad Agota Kristof scrivere non interessa più: perché, questa volta, l’inchiostro non sembra poter fornire alcun sollievo alle sofferenze della grave malattia che da anni la affligge. Mentre in Italia stanno per essere pubblicati due suoi racconti inediti raccolti nel volume Dove sei Mathias? (in uscita per le Edizioni Casagrande il 12 Ottobre) Agota Kristof si racconta così: attraverso risposte solo in apparenza telegrafiche, ma che contengono in realtà tutto il dolore e la profondità di una donna e di una grande scrittrice.
Signora Kristof: davvero non ha più intenzione di scrivere?
No. Non ho più voglia di scrivere.
Ma so che ha un nuovo romanzo nel cassetto, un romanzo a cui lavora da tempo, ma che non riesce a concludere…
Sì, è vero. Il titolo è Aglaé dans le champs. Aglaé era il mio primo amore, il pastore protestante del villaggio, un amico di mio padre. È un romanzo su mio padre. L’ho iniziato ma ora è da qualche parte e non lo guardo neanche più. Sono cinquanta, sessanta pagine, ma mi sembra che dicano sempre la stessa cosa.
E la scrittura non le manca, la scrittura come comunicazione (con lei stessa, con gli altri)?
No. Non penso più a scrivere. Una volta scrivevo tutto il tempo, scrivevo tanto. Ma non ne ho più voglia.
Forse è per la mia malattia. Ho sempre male da qualche parte, e questo occupa tutti i miei pensieri. Non penso più a scrivere. Ho subito quattro operazioni, ma ora mi è tornato il male alle gambe. I farmaci non fanno più effetto e credo che dovrò fare un’altra operazione. E adesso che arriva l’inverno è ancora peggio.
Nel suo racconto autobiografico L’analfabeta (Casagrande 2005) lei afferma che era proprio la scrittura a salvarla dall’alienazione del lavoro in fabbrica (“Per scrivere poesie la fabbrica va benissimo, si può pensare ad altro, e le macchine hanno un ritmo regolare che scandisce i versi. Nel mio cassetto, ho un foglio e una matita. Quando la poesia prende forma, prendo nota. La sera metto tutto a bella in un quaderno”), dalle difficoltà della vita da emigrata in Svizzera, come già era la scrittura ad aiutarla a sopportare il collegio. Ora la scrittura non è in grado di aiutarla in questa nuova prova?
No, non è più in grado. Il male fisico è un’altra cosa.
Nessun ripensamento?
Sa che mi hanno appena chiamata dicendo che L’analfabeta ha vinto il premio dei giornalisti di lingua tedesca: austriaci, tedeschi e svizzeri. Gli hanno dato il primo premio. Io credevo che mi prendessero in giro, ma è vero. A novembre verrà premiato a Baden Baden.
Come mai ha creduto fosse uno scherzo?
Perché non amo quel libro. È un libro autobiografico. C’è dentro molto della mia vita. E questo non mi piace.
Ma tutti i suoi libri sono autobiografici...
Non lo metto in dubbio, ha ragione, ma questo libro è quello che oggi mi fa più soffrire.
Mi parli, se crede, del racconto “Dove sei Mathias?”
È un racconto che ho scritto molto tempo fa. È uno dei primi racconti che ho scritto arrivata in Svizzera. Ha una particolarità: questo racconto l’ho scritto prima in ungherese e poi ho cercato di tradurmi in francese, una lingua che conoscevo ancora poco, e che doveva diventare la mia lingua.
Si ricorda come è nata l’idea del racconto?
Era un’idea mi girava in testa, non potevo fare altro che scriverla.
E il secondo: Line, o il tempo?
È nato come pièce radiofonica. L’ho scritto quando la mia seconda figlia aveva dieci anni, e la protagonista le assomiglia, è un po’ costruita su di lei. Anche le sue espressioni le ho prese da mia figlia: quando Line dice che “pace a me” invece “pace amen”, o il nome del gatto, Charabia. Quando di recente mia figlia l’ha letto, mi ha chiesto: “Ma davvero parlavo in modo così strano?”.
Gian Paolo Serino
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