Un'intera pagina, richiamata in prima, apparsa oggi sul quotidiano "La Provincia di Como, Lecco, Sondrio" firmata da FEDERICO RONCORONI, consulente editoriale Mondadori, saggista, studioso di Gabriele D'Annunzio, Carlo Emilio Gadda e Piero Chiara, autore, tra le altre cose, de "Il libro degli aforismi" (Oscar Mondadori, 18 edizioni) e di una delle grammatiche italiane più vendute nel mondo.
QUANDO ORIANA SI INNAMORO’ DI UN “TERRORISTA”
Dov’è finita la Fallaci anni ’70, anti-yankee e amante di Panagulis?
Lo chiede Serino nel libro “Usa&Getta”.
L’Oriana Fallaci che oggi con “rabbia e orgoglio” si scaglia contro i terroristi mediorientali che vogliono distruggere l’Occidente con i loro attentati, quella Fallaci che, nonostante tutto, sta con gli USA visti come baluardo della democrazia e della libertà, è quella stessa Oriana Fallaci che, negli anni Settanta, difendeva con tutte le sue forze di giornalista e di donna un terrorista greco, condannato a morte per aver compiuto un attentato contro il Presidente Papadopoulos, al tempo della dittatura dei Colonnelli, regime appoggiato a quanto pare dagli USA?
Sì, è proprio lei, e il terrorista in questione, Alekos Panagulis, non solo lo difese, ma anche l’amò, vivo, di grande amore, e, morto, l’esaltò con “rabbia e orgoglio” in Un uomo, bestseller e longseller internazionale.
A denunciare la patente contraddizione, in un libro intitolato USA&Getta, è Gian Paolo Serino, un comasco che ha lasciato Como per andare a cercare fortuna a Milano e l’ha trovata, visto che collabora a La Repubblica e a Il Giornale e tiene un blog di grande successo su Internet.
“Le bombe messe da Panagulis sono più pulite di quelle dei terroristi islamici?” si chiede Serino.
E se per la Fallaci, come per molti altri, quelle bombe erano giustificate, e, anzi, ammantate di nobili ideali, al punto che si guardava con rispetto a chi le aveva messe, come può oggi la Fallaci “aggredire un popolo intero, quello arabo per le sue bombe? Che cosa è successo? Perdita di memoria? Ri(e)mozione forzata? Deriva dei sentimenti?. Serino è implacabile, ma non intende dare una risposta univoca a queste domande. Vuole che le risposte le trovino i lettori. Serino si limita ad esporre i fatti di quella “storia d’amore al tritolo” e fissa soltanto i paletti che possono servire a cogliere la linea di confine lungo la quale la “rabbia” ha vinto sull’orgoglio.
Serino ricostruisce così, in breve, per stacchi successivi, la vicenda umana e politica di Panagulis: delinea il percorso che l’ha portato, lui giovane ufficiale, a diventare un “terrorista”; descrive, attraverso le parole della Fallaci, le terribili torture fisiche e psicologiche cui fu sottoposto per anni nelle prigioni dei Colonnelli, dove fu rinchiuso dopo la sospensione della condanna a morte, e racconta come, dopo la liberazione e dopo essere stato eletto deputato, una volta caduta la Giunta, egli sia morto in uno “strano” incidente stradale, proprio il giorno prima di presentarsi in Parlamento per produrre i documenti che provavano la collusione di un ministro con il regime. Parallelamente delinea anche il quadro dei rapporti che intercorsero tra Panagulis e la Fallaci, a partire dal primo loro incontro nel carcere di Boiati: “Quel giorno – scrive la Fallaci in Intervista con la Storia-, Alekos aveva il volto di un Gesù crocifisso dieci volte e sembrava più vecchio dei suoi trentaquattro anni. Sulle guance pallide si affondavano già alcune rughe, tra i suoi capelli neri spiccavano già ciuffi bianchi, e i suoi occhi erano due pozze di malinconia. O di rabbia? Anche quando rideva, non credevi al suo ridere. Del resto era un ridere forzato e che durava poco: quanto lo scoppio di una fucilata. [...] La salute l'aveva persa, insieme alla gioventù, il momento in cui era stato legato per la prima volta al tavolo delle torture/…/”.
Serino, dicevamo, è implacabile: si veda, per esempio, là dove alla Fallaci che ieri denunciava le tremende vessazioni inflitte a Panagulis da un regime che godeva la protezione degli USA, ricorda la prigione di Abu Ghraib “dove i detenuti musulmani sono picchiati /…/ per essere poi ripresi dai loro stessi aguzzini con le loro digitali Usa&getta” o là dove contrappone alla Fallaci filoamericana di oggi le parole che scrisse contro l’America che, a suo dire, dopo essere stata fondata da “disperati in cerca di libertà e di felicità , che si ribellò all’ Inghilterra perché non voleva essere una sua colonia. E poi? Inventò lo schiavismo, carne umana venduta a peso come carne dei bovi, schiacciò altri disperati in cerca di libertà e di felicità, infine fece di mezzo pianeta la propria colonia”.
Ma nel momento stesso in cui, con una logica stringente intrisa di sottile ironia, compie la sua ricostruzione dei “fatti” e lancia la sua denuncia, Serino non può non sentire il fascino che emana dalla personalità dei due personaggi. Quel Panagulis “terrorista” è, infatti, anche il protagonista di una delle più drammatiche vicende umane e politiche del Novecento- una delle prime, se non la prima, che ebbe un’eco mondiale – e quella Fallaci è la donna e l’intellettuale che si innamorò sì dell’uomo, non c’è dubbio, ma anche di ciò che significava quell’uomo: della sua lotta in difesa della libertà, del suo immenso spirito di sacrificio, delle sue stesse debolezze di “uomo”.
La contraddizione tra la Fallaci di ieri e di oggi certo esiste, ma Serino non può e non vuole nemmeno ignorare che la Fallaci oggi come ieri ha sempre lavorato non solo con la penna ma anche con il cuore: e il cuore, si sa, ha le sue ragioni che la ragione non conosce e, come la “rabbia” e l’”orgoglio” non è neppure coerente, perché altrimenti non sarebbe il cuore.
Serino lo sa e lo sente.
Perché se così non fosse, con una contraddizione che poco si differenzia da quella che denuncia, dedica metà del suo libro alla pubblicazione delle poesie che Panagulis scrisse in carcere?
Intitolate Vi scrivo da un carcere della Grecia, quelle poesie che apparvero negli anni Settanta con una prefazione di Pasolini e poi non vennero più riprese, furono per Panagulis l’unica via di scampo per non impazzire: lo sfogo di un uomo disperato che le scrisse “con il sangue” - e non solo in senso metaforico. Serino, giustamente, ne è affascinato: “ Panagulis”- osserva- ci ha lasciato un sogno, ma ci ha lasciato anche le sue poesie. Poesie scritte con il sangue. Poesie che sono un preciso atto d’accusa, contro tutti noi, ma anche una preghiera e un’invocazione a comprendere ciò che Albert Camus ha scritto ne La caduta: "Quando tutti saranno colpevoli allora sarà la democrazia”.
La democrazia è arrivata e noi siamo qua: con rabbia ma senza orgoglio.
USA&Getta meriterebbe di essere letto anche soltanto per queste parole e, naturalmente, per le poesie di Alekos Panagulis che, sia come sia, “zei”, vive!
FedericoRoncoroni
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